“Liberi di partire, liberi di restare”

La riflessione di Riccardo Garbetta, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes, in occasione della 109^ Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra il 24 settembre 2023

Facebooktwitterpinterestlinkedinmail

 

La vicinanza della Chiesa al mondo delle migrazioni è stata espressa, nel 1952 nell’Esposizione della dottrina cristiana sulle migrazioni “Exsul Familia” di Pio XII e da allora, attraverso la paterna attenzione dei vari pontefici, la Chiesa ha aggiornato costantemente quanto e come il fenomeno migratorio mutasse l’atteggiamento del cristiano nei confronti della mobilità umana.

«Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13).

La fuga della Santa Famiglia in Egitto non è frutto di una scelta libera, come del resto non lo furono molte delle migrazioni che hanno segnato la storia del popolo d’Israele. Migrare dovrebbe essere sempre una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è. Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di persone a partire.

Se dovessimo stilare l’elenco di coloro che, nelle varie parti di questo nostro mondo sempre più ferito dalla nostra incuria e poca visione del futuro, spingono alla fuga intere generazioni dei popoli loro affidati, certamente molti di noi sapremmo quali nomi scrivere.

Ma, all’elenco dei vari “Erode” del nostro tempo, dovremmo anche stilare quello degli “ignavi”, di coloro che, per superficialità o per colpevole indifferenza, trasformano il presente in fredde equazioni, in diagrammi sterili che mortificano l’essere umano riducendolo a dei parametri algebrici.

Uno scatto fotografico emblematico di questa deriva numerica è stato effettuato nelle ore drammatiche del naufragio del caiucco siriano sulle spiagge di Cutro: in primo piano vi è una ragazzina deturpata da cicatrici sul volto e nel cuore per quanto sta vivendo in quel momento, in secondo piano si vede un “impiegato” che, con carta e penna, quantifica numericamente ciò che rimane di quella porzione di umanità sopravvissuta alla strage di migranti.

 

«Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti» (Gen 46,6).

È a causa di una grave carestia che Giacobbe con tutta la sua famiglia fu costretto a rifugiarsi in Egitto, dove suo figlio Giuseppe aveva assicurato loro la sopravvivenza. Persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria sono tra le cause più visibili delle migrazioni forzate contemporanee. I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune.

Ma, come ci insegna il profeta Geremia, devo gridare, devo proclamare: «Violenza! Oppressione!» (Ger 20,8)”, anche noi  non possiamo tacere dinanzi alle ingerenze puramente economiche ed egoistiche di Paesi che, pur di continuare a depredare risorse utili per lo sviluppo autoctono, si mascherano come paladini ed esportatori di democrazia e giustizia.

«Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45).

La celebrazione del giubileo per il popolo d’Israele rappresentava un atto di giustizia collettivo: tutti potevano «tornare nella situazione originaria, con la cancellazione di ogni debito, la restituzione della terra, e la possibilità di godere di nuovo della libertà propria dei membri del popolo di Dio». Mentre ci avviciniamo al Giubileo del 2025, è bene ricordare questo aspetto delle celebrazioni giubilari. È necessario uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra. Si tratta di un diritto non ancora codificato, ma di fondamentale importanza, la cui garanzia è da comprendersi come corresponsabilità di tutti gli Stati nei confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali.

Quel 1.600.000 circa di umanità che dall’Africa sono presenti in Italia, proviene dalla cintura subsahariana, da Paesi che hanno risorse minerarie incredibili ma che sono gestite come cosa propria da coloro che ne detengono il potere politico (molto spesso camuffato da integralismo religioso).

Niger: l’uranio, carbone, ferro, fosfati, oro e petrolio.

Ciad: petrolio e carbonato di sodio.

Sudan: petrolio, oro, diamanti, calcari, materiali ferrosi, depositi di cromo, zinco, tungsteno, mica, argento e legname. (I proventi del petrolio rappresentano il 98% del reddito.)

 

«Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).

Queste parole suonano come monito costante a riconoscere nel migrante non solo un fratello o una sorella in difficoltà, ma Cristo stesso che bussa alla nostra porta. Perciò, mentre lavoriamo perché ogni migrazione possa essere frutto di una scelta libera, siamo chiamati ad avere il massimo rispetto della dignità di ogni migrante; e ciò significa accompagnare e governare nel miglior modo possibile i flussi, costruendo ponti e non muri, ampliando i canali per una migrazione sicura e regolare. Ovunque decidiamo di costruire il nostro futuro, nel Paese dove siamo nati o altrove, l’importante è che lì ci sia sempre una comunità pronta ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti, senza distinzione e senza lasciare fuori nessuno.

La campagna “Liberi di partire, liberi di restare” della Cei, (ci ricorda mons. Perego, presidente della Cemi e Migrantes), ha impegnato oltre 30 milioni delle risorse dell’otto per mille tra il 2017 e il 2022 – e ricordata da Francesco nel Messaggio della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato di quest’anno –ed  è stato un segno della Chiesa italiana per far crescere la consapevolezza delle storie dei migranti, sperimentare un percorso di accoglienza, tutela, promozione e integrazione dei migranti che arrivano tra noi, non dimenticando il diritto di ogni persona a vivere nella propria terra. È stata una campagna di denuncia dei morti, delle violenze, della tratta su persone indifese che una storia nuova di accompagnamento dei migranti può scongiurare.

 

I cambiamenti climatici, le carestie, la povertà assoluta sono ostacoli a volte invalicabili, insormontabili per poter costruire un futuro degno di questo nome per coloro che vivono la precarietà del non sapere oggi quale domani li attende.

 

Non vi è muro che tenga dinanzi alla forza irrefrenabile del desiderio umano di poter accedere a quel pezzo di pane, a quel bicchiere d’acqua, a quell’accoglienza che deve promanare dal nostro vivere ad imitazione di Cristo.

Solo così impareremo anche noi a scrivere non più elenchi di vittime disperate ma, come il redattore del Primo Libro delle Cronache, genealogie vive, nomi di donne e uomini con un futuro non più solo da sognare ma da costruire, finalmente liberi di scegliere se restare o emigrare.

 

Riccardo Garbetta

Direttore diocesano Ufficio Migrantes