«SEMINARISTI VICINI ALLE FRAGILITÀ MA ANCHE CALCIATORI!» Intervista doppia all’Arcivescovo mons. Leonardo D’Ascenzo e al vicario episcopale per il clero don Cosimo Damiano Delcuratolo

Tra qualche giorno, accompagneranno quattordici seminaristi diocesani in un’esperienza formativa.

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«SEMINARISTI VICINI ALLE FRAGILITÀ MA ANCHE CALCIATORI!»

Intervista doppia all’Arcivescovo mons. Leonardo D’Ascenzo e al vicario episcopale per il clero don Cosimo Damiano Delcuratolo, che, tra qualche giorno, accompagneranno quattordici seminaristi diocesani in un’esperienza formativa.

 

Ogni anno, nel periodo estivo, si svolge la settimana di fraternità e di formazione dei seminaristi di teologia dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, organizzata e guidata dall’Arcivescovo, Mons. Leonardo D’Ascenzo e da don Cosimo Delcuratolo. Si tratta di un momento annuale molto importante per questi giovani, finalizzato ad accrescere il senso più autentico della vocazione al ministero ordinato; per questa ragione all’Arcivescovo e a don Cosimo abbiamo rivolto alcune domande.

 

Eccellenza, quale l’orizzonte valoriale e ideale alla base del percorso esperienziale che sarà proposto ai seminaristi diocesani.

Innanzitutto, i quattordici che vivranno l’esperienza dal 21 al 26 agosto vanno dal propedeutico al sesto anno. E tra questi i sei che a ottobre saranno ordinati diaconi.

La specificità del progetto di quest’anno è quella di metterci in ascolto e di affiancarci alla “vita fragile”, segnata da situazioni problematiche, anche dalla sofferenza e dal dolore, insieme a tante altre figure, qualificate e professionali, che con competenza si prendono cura di queste persone, mosse da una profonda motivazione, segno concreto di speranza, composizione, recupero e integrazione.

 

Don Cosimo se puoi fornire elementi di maggiore dettaglio giorno per giorno di questo percorso!

Senz’altro! Vivremo i primi due giorni, cioè il 21 e il 22 agosto, presso l’Hospice Universo Salute – Opera Don Uva, in Bisceglie. Tutto ruoterà attorno al tema “Il significato della vita nel percorso delle cure palliative”. Sono previsti l’intervento dell’equipe multidisciplinare, un momento di condivisione con gli operatori, e soprattutto l’incontro con i pazienti e i loro familiari. Incontreremo anche alcuni che hanno avuto un proprio caro, ora morto, all’interno di questa struttura.

Il 23 agosto saremo ad Andria, don Riccardo Agresti ci parlerà del “Progetto senza Sbarre” che, nella linea della giustizia riparativa, nasce per proporre un’alternativa alla detenzione fatta di lavoro, integrazione e riscatto. Il sacerdote andriese ha costituito la cooperativa “A mano libera” che, presso la masseria San Vittore, gestisce un tarallificio artigianale dove i detenuti della casa circondariale di Trani possono accedere alle misure alternative alla reclusione.

Il giorno successivo, cioè il 24 agosto, si snoderà dapprima a Trani: la prima parte della mattinata presso la sala conferenze del Museo Diocesano dove Stefania Grimaldi, presidente della cooperativa sociale “Work-Aut, Lavoro & Autismo” ci farà conoscere il mondo dell’autismo, le caratteristiche e i punti di forza di questi ragazzi e di queste ragazze, e come sia possibile pensare a progetti di qualificazione anche ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro di questi giovani; la seconda parte della mattinata vedrà impegnati i ragazzi e le ragazze con autismo che ci faranno da guida storico-artistica nella visita della nostra Cattedrale. Poi, pranzeremo tutti insieme: i ragazzi seguiti dall’associazione, i genitori, i seminaristi, l’Arcivescovo ed io, presso la Locanda del Giullare a Trani, il ristorante gestito da persone con disabilità e fragilità sociali. Nel pomeriggio ci sposteremo presso il seminario di Bisceglie dove incontreremo le famiglie dei ragazzi, per ascoltare quello che vorranno condividere del loro vissuto e delle difficoltà che incontrano all’interno della società e della Chiesa. Ad esempio, che cosa hanno provato quando hanno ricevuto la diagnosi del proprio figlio, come si prendono cura del proprio figlio, bambino o adolescente, e come vivono e che cosa stanno pensando per il “dopo di noi”. Ascolteremo, anche, che cosa si aspettano dalla Chiesa, in modo particolare dalle nostre comunità parrocchiali e dai nostri preti. Concluderemo la serata con un momento conviviale.

Il 25 agosto lo vivremo con la cooperativa sociale Oasi2 “San Francesco” di Trani. Avremo modo di avvicinarci a tutta una serie di servizi per migranti e per minori, giovani, adulti e anziani, con disturbi, dipendenze, malattie, problemi carcerari. Ascolteremo le persone coinvolte e gli operatori che lavorano accanto a loro.

La mattinata del 26 agosto sarà vissuta come ritiro spirituale nel seminario di Bisceglie. L’Arcivescovo terrà una meditazione e guiderà la preghiera. Ci sarà, poi, la celebrazione eucaristica durante la quale i sei ordinandi diaconi faranno la declaratio e la professione di fede. È la giornata di sintesi, della preghiera, del sostare dinanzi all’Eucaristia per chiedere il dono di vivere la cultura della cura quale prolungamento e attualizzazione dell’offerta per tutti che il Signore fa di sé.

 

Quello delineato è senza dubbio un percorso di grande valenza formativa; chiedo a lei Eccellenza, se può evidenziare il legame di questi luoghi denotati dalla fragilità con il servizio che i quattordici, oggi come seminaristi ma domani magari da preti, svolgeranno nella pastorale parrocchiale.

         Va ribadito che lo scopo di questo percorso è quello di avvicinare i giovani seminaristi alle situazioni di fragilità in cui c’è chi le vive e chi le accompagna, di avere un contatto con le relative dinamiche emotive che, si spera, si sviluppino in tutti noi. Non è tanto importante addentrarsi nell’organizzazione, che pure è doverosa in questi luoghi, dei servizi che andremo a conoscere, quanto favorire il contagio della logica del prendersi cura e lo svilupparsi di tutta una serie di sensibilità nei confronti di chi abita queste frontiere del disagio, della sofferenza, della debolezza.

Per rispondere alla domanda, in riferimento all’Hospice, in parrocchia il prete viene chiamato quasi quotidianamente a stare accanto a chi è giunto all’ultimo tratto della propria esistenza; relativamente al progetto “Senza Sbarre”, sempre in parrocchia, si possono creare quelle condizioni di apertura e di accoglienza per chi è in carcere, magari con il desiderio di perseguire il riscatto, la riabilitazione e l’inserimento sociale, rendendosi disponibili per forme varie di servizio, che potrebbero rivelarsi opportunità per avviare processi di cambiamento in queste persone; nelle nostre comunità ecclesiali aumentano i casi di genitori, soprattutto mamme, di bambini che hanno ricevuto la diagnosi di disturbo dello spettro autistico che chiedono un adeguato accompagnamento ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e il necessario inserimento nelle attività pastorali, che per questi bambini e ragazzi possono assumere anche una funzione di promozione del benessere. E poi penso alle tantissime persone nella povertà, con dipendenze, donne nella tratta, migranti e anziani, che si affacciano quotidianamente in parrocchia, bisognose di accoglienza, di un consiglio, di essere ascoltate; da questo punto di vista l’Oasi2 può esserci di aiuto a leggere queste situazioni di disagio e di fragilità. Sono situazioni e fatti di tutti i giorni che possono coglierci impreparati; invece, richiedono da parte nostra maggiore e crescente impegno e preparazione.

 

Don Cosimo, come immagini il prete di domani?

         Esattamente come ha iniziato a descriverlo l’Arcivescovo! Lo scopo di questa esperienza, infatti, è quello di offrire un’opportunità, come dice il Papa, per toccare la carne viva di Gesù, per entrare in contatto con il vissuto concreto, sia emotivo sia cognitivo, di coloro che vivono quelle realtà, dai destinatari dei diversi progetti agli operatori, agli assistenti spirituali. Il nostro scopo è quello di formare seminaristi e futuri preti che non abbiano nulla a che fare con la mondanità spirituale e materiale di cui Papa Francesco ha parlato, in modo molto accurato, nell’ultima lettera scritta ai sacerdoti della diocesi di Roma, lo scorso 5 agosto. Seminaristi e futuri preti capaci di empatizzare con le persone che incontrano nel loro servizio pastorale, capaci di prendersi cura e di farsi carico a livello umano, spirituale, morale e pastorale delle storie e dei vissuti che le donne e gli uomini di oggi attraversano. Capaci, cioè, di camminare accanto alle persone del nostro tempo, senza separazione e steccati, ma con un sincero e profondo atteggiamento di vicinanza e prossimità. Immagino il prete come l’uomo della compassione.

 

Eccellenza, immagino ci sia voluto un po’ di tempo per pensare e poi concretizzare questo percorso!

Certo! È così! Debbo aggiungere che siamo molto contenti di questa proposta anche perché leggendo su Avvenire la sintesi giornalistica dell’intervista di Vida Nueva a Papa Francesco prima di partire per Lisbona, abbiamo avuto dalle sue parole una conferma all’impostazione data alla nostra esperienza formativa. Tra l’altro, il Pontefice ha detto che i giovani, più che laboratori asettici, hanno bisogno di proposte che usino i linguaggi delle mani, cioè del fare, e quelli delle gambe, del camminare. E, parlando dei seminaristi, il Pontefice ha detto che abbiamo bisogno di seminaristi normali, con i loro problemi, che giochino a calcio, che non vadano nei quartieri a dogmatizzare. Beh, con questa esperienza ci sentiamo proprio in sintonia con il Santo Padre!

 

E, a proposito del calcio, del gioco al pallone? È curioso – mi permetta il riferimento – proprio qualche giorno fa lei ha nominato due presbiteri quali responsabili della squadra di calcio dei sacerdoti! È risaputo che lei è sportivo, persino tifoso di una grande squadra!

         Si, è vero, tra le ultime nomine figurano due presbiteri responsabili della squadra di calcio dei sacerdoti. È una scelta molto meditata, per me veramente rilevante, da non leggere con superficialità! Se è importante per i seminaristi giocare a pallone, è tale anche quando essi saranno preti!

Non dimentichiamo i valori positivi dello sport, in particolare del calcio! Può essere opportunità di maturazione e di crescita nelle relazioni e nella fraternità tra i preti, sul piano dell’aggregazione e del sano svago: quanto di bello potrebbe venire fuori nelle sfide tra squadre di preti delle diverse diocesi; oppure, in diocesi incontrando squadre di giovani e di adulti!

Auspico che questa prospettiva non abbia un carattere episodico, ma che trovi realizzazione in un ritmo continuativo. Vorrei richiamare il valore del gioco del calcio quale opportunità di maturazione nel rispetto delle regole, nell’imparare sempre più a fare squadra, mettendo assieme le diverse capacità dei singoli giocatori che, lasciate sole risulterebbero poco efficaci, ma unite rendono possibile il raggiungimento dell’obiettivo. Se questo vale nella squadra di calcio, è vero anche nella squadra del presbiterio, per il quale l’obiettivo è la missione per il Regno! Su questo potremmo riflettere tanto e più estesamente! Per esempio, durante la partita esistono gli avvicendamenti, che dovrebbero essere vissuti con spirito sportivo di chi gioca per il bene della squadra, e non per sé stesso, nella consapevolezza che c’è qualcuno che è bravo tanto quanto te! Nella vita del presbiterio non deve accadere ciò che talvolta accade nella squadra di calcio: chi viene richiamato dall’allenatore magari toglie il saluto, sbraita, manca di rispetto!

Sì, sono tifoso di una squadra di calcio, come dici tu di una grande squadra, che, in questi ultimi tempi, non sta dando molte soddisfazioni…  Confido, su un altro fronte, che l’impegno dei nostri sacerdoti e dei giovani seminaristi sia, con l’aiuto del Signore, un efficace contributo alla missione di un’altra grande squadra, la Chiesa, per l’edificazione del Regno!

 

Riccardo Losappio

direttore Ufficio diocesano cultura e comunicazioni sociali