Omelia dell’Arcivescovo nella Vigilia diocesana giubilare di Pentecoste
Sono passati cinquanta giorni dalla Pasqua, come Chiesa diocesana ci siamo dati appuntamento per vivere insieme, nella preghiera, questa veglia di Pentecoste e fare festa per il dono dello Spirito Santo promesso da Gesù ai suoi discepoli.
I testi appena proclamati sono il racconto di una storia, di un percorso che potremmo chiamare “da Babele a Gerusalemme”.
Babele, una comunità segnata dalle conseguenze del peccato delle origini, dalla superbia dell’uomo che decide di costruirsi una città, opera delle sue mani, dove non c’è posto per Dio, anzi è l’uomo che cerca di mettersi al posto di Dio realizzando una torre la cui cima avrebbe dovuto toccare il cielo. Ciò che l’umanità sperimenta, come conseguenza di questo piano, è incomprensione e dispersione.
Gerusalemme è la città della vita e della rinascita. Una vita ricevuta in dono dal Signore: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva». Una vita che si condivide come dono: «dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”.
Da Babele a Gerusalemme è un percorso guidato dallo Spirito, Dio datore di vita.
Chiediamo i suoi doni. Chiediamo, questa sera in modo particolare, il dono della pace come condizione indispensabile per vivere in pienezza la vita che abbiamo ricevuto. Che questo dono possa raggiungere ogni persona, ogni comunità, ogni popolo.
Il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha invitato tutte le Chiese che sono in Italia a pregare per la pace durante la veglia di Pentecoste. Il Presidente della CEI, il Cardinale Matteo Maria Zuppi, così si è espresso:
«… ciò di cui l’umanità ha più bisogno oggi è proprio la pace. La Chiesa invoca, annuncia e si mette al servizio della pace. Senza esitazioni, senza soste. Facciamo nostre, dunque, le parole per la popolazione della Striscia di Gaza, pronunciate mercoledì scorso, al termine dell’udienza generale, da Leone XIV: “È sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella Striscia di Gaza. Rinnovo il mio appello accorato a consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone malate” (Udienza generale, 21 maggio 2025).
Chiediamo il rispetto del diritto internazionale umanitario, l’ingresso di aiuti senza restrizioni, l’apertura di corridoi umanitari e, soprattutto, la promozione di un dialogo che possa realizzare la soluzione “due popoli, due Stati”.
Il nostro sguardo si rivolge anche all’Ucraina nell’auspicio che i fili del dialogo, già così difficili, siano rafforzati, trovino le garanzie necessarie inserite in un quadro che permetta una pace giusta e sicura. Non possiamo però dimenticare i tantissimi conflitti che insanguinano il pianeta. Abbiamo a cuore i popoli di Asia, Africa, America Latina piegati dalla tragedia delle armi, che portano morte e sofferenze, generando odio e ulteriori ingiustizie.
Il cristiano è un artigiano di pace, che dal suo cuore trae la forza di una pace disarmata e disarmante … Siamo ben consapevoli che la pace non è statica, ma mette in movimento, coinvolge, riguarda tutti. Ecco perché la Chiesa in Italia continuerà a impegnarsi per tessere relazioni, per alimentare il dialogo, per iniziare percorsi di riconciliazione e di sviluppo, anche attraverso le attività e i progetti che i fondi dell’8xmille destinati alla Chiesa cattolica rendono possibili.
Vogliamo contribuire a realizzare un mondo unito e in pace, dove non si senta più il rumore delle armi e dove tutti possono dirsi fratelli. La lotta alla povertà, l’educazione che la stessa presenza della Chiesa anima con le sue diverse realtà, l’impegno per lo sviluppo e gli aiuti al mondo, sono una parte del nostro sforzo».
Da Babele a Gerusalemme. Viviamo questo percorso, guidati dallo Spirito Santo, per passare dalla dispersione alla unione, dalla confusione alla comunione.
Lasciamo che lo Spirito dimori in mezzo a noi, con la sua presenza accompagnata, come ci ha ricordato il libro dell’Esodo, da tuoni, lampi, dense nubi e terremoti. È la presenza di Dio che rinnova e dona vita a ciò che fosse diventato come una pianura piena di ossa inaridite. Lasciamo che lo Spirito ci rinnovi, porti cambiamenti nella nostra Chiesa diocesana, renda i nostri giovani capaci di visioni e i nostri anziani desiderosi di sognare. Una comunità profetica e sognatrice!
Può capitare, ci ricordava Papa Francesco, in situazioni particolari di cadere nella tentazione di stancarsi. «Non è la stessa cosa quando uno, per la stanchezza, abbassa momentaneamente le braccia rispetto a chi le abbassa definitivamente dominato da una cronica scontentezza, da un’accidia che gli inaridisce l’anima. Può succedere che il cuore si stanchi di lottare perché in definitiva cerca se stesso in un carrierismo assetato di riconoscimenti, applausi, premi, posti; allora uno non abbassa le braccia, però non ha più grinta, gli manca la risurrezione. Così il Vangelo, che è il messaggio più bello che c’è in questo mondo, rimane sepolto sotto molte scuse» (Evangelii Gaudium, 277).
I doni della Pentecoste ci aiutino a non cadere nell’accidia, e dove ce ne fosse bisogno a venirne fuori, a non essere colpevolmente addormentati.
Da Babele a Gerusalemme è il percorso che abbiamo vissuto in questi ultimi anni di cammino sinodale, aperti all’ascolto reciproco e all’ascolto dello Spirito Santo. Un cammino che ci ha donato una più forte consapevolezza della chiamata ad essere maggiormente corresponsabili in una Chiesa missionaria. Sogniamo la convergenza di tutti su alcuni ambiti della pastorale: la formazione, la cultura, la comunicazione e i linguaggi, la famiglia e i giovani. Chiedo a tutti – presbiteri, consacrati, laici, comunità parrocchiali, realtà ecclesiali – di vivere una sintonia pastorale che parta dalla comunione autentica e quotidiana, mettendo da parte ogni individualismo, chiusura, resistenza.
Pochi giorni fa leggevo sul quotidiano Avvenire, un articolo che mi ha fatto riflettere sul tema della comunione pastorale. Leggo alcuni passaggi:
«Proprio alla vigilia del 2 Giugno, la finale di Champions mi è parsa una duplice piccola riprova di un grande fallimento. La prima, del fatto che l’essere italiani per noi è ancora in subordine rispetto a essere di quella regione, di quella città, quando non di una certa contrada, di quella squadra. Un’appartenenza localistica che non sa superare se stessa se non in pochissime circostanze. La seconda questione riguarda invece il “fine” dell’essere una nazione e gli strumenti per raggiungerlo. L’idea cioè di ritrovarsi uniti su una base di valori comuni (nel nostro caso elencati nella Costituzione) e provare a renderli concreti nella vita delle persone. Anzitutto, attraverso la solidarietà e il tendere a un “bene comune”, non solo al “mio”, al “tuo” bene, ma insieme a quello di tutti e di ciascuno» (Francesco Riccardi, Avvenire, lunedì 2 giugno).
Se questo è il contesto nel quale ci troviamo, dobbiamo sentire ancora più forte la responsabilità di testimoniare quanto sia importante, quanto sia bello camminare insieme come una comunità, vivere la comunione nonostante le diversità, condividere gli stessi valori anche se con accentuazioni originali. Siamo membra di uno stesso corpo, il corpo mistico di Cristo.
Come ho avuto modo di dire: «In virtù del battesimo, tutti abbiamo ricevuto dei carismi, doni per edificare e ringiovanire la Chiesa nella sua azione evangelizzatrice. “Non sono un patrimonio chiuso, – ci istruisce papa Francesco – consegnato a un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice. Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del popolo santo di Dio per il bene di tutti… È nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo” (Evangelii Gaudium, 130).
I carismi autentici presenti tra voi, fratelli e sorelle, sono al servizio della Chiesa diocesana. Vi esorto, dunque, a prendere coscienza del “carisma più grande” dello Spirito Santo: la carità che genera la comunione in questo corpo ecclesiale che è la nostra Chiesa diocesana. Possiamo sentirci e vivere come popolo di Dio, sospinti dallo stesso Spirito ad annunciare Cristo per le strade delle nostre città, quartieri, piazze, case, scuole, fabbriche, ecc.. Non ci sfugga che evangelizzare è il nostro unico scopo! Tutto va messo al servizio di questa missione, tralasciando il resto, senza nostalgici rimpianti, per un passo più leggero e spedito» (Orientamenti Pastorali 2020-2023, Una Chiesa che ha il sapore della casa. Una casa che ha il profumo della Chiesa, pp.12-13).
Da Babele a Gerusalemme, allora, per gustare e testimoniare il frutto dello Spirito che «è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé». Portiamo, incise nel nostro cuore, le parole di San Paolo, che possano risuonare come un continuo invito e motivo di speranza: «Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5, 22a-25).